Di quel 28
Novembre ricordo che era un giorno d’inverno temperato.
Il sole vivace
e schietto respingeva le nuvole e un vento morbido ma consistente si stagliava
sulle nostre mani, fredde e venose.
Io e lui
eravamo pronti per l’ennesima passeggiata fra foglie scricchiolanti e terra
umida.
Ma le parole,
quelle parole che contornavano ogni minuto passato insieme sembravano vuote,
prive di senso, solo retorica e circostanza.
L’inverno è
pungente. Paolo non è da meno.
“Ti senti
pronto alla mia partenza?”
“Hai deciso di
andare?”
“Da una
settimana non parlo d’altro” mi guarda ed è uno schiaffo forte, dritto e
schioccante che sembra scaldarmi d’improvviso, “Richi tu non ci sei più, sei
perennemente assente. Mi fa male vederti così, ma tanto non lo capisci. Tu lo
sai quanto ti voglio bene?”
“Sì..”
“Sì sì, ma che
stai dicendo. Io sono trasparente per te. Potrei gridare, spogliarmi,
picchiarti e l’unica reazione che avrei è il tuo continuare a dire che non c’è
una via di uscita dal tuo essere solo. E io chi cazzo sono?!”
È inutile
negarlo, aveva ragione. Io sapevo.
Sapevo tutto
ed essere il suo unico confidente strideva con la perenne volontà di non
crederci, di non voler sentire, di pensare che io ero più forte di ogni mia fantasia distruttiva.
Ore passate a
vedere lo specchio infrangersi sotto occhi potenti e in grado di sezionare
meglio di un’autopsia, trovare poi il nocciolo del problema e non capire che i
mesi scorrono e la vita non si ferma in attesa della tua ricerca di verità.
Mi blocco e ho
la certezza di essere diventato egoista, tutto quello che ho odiato negli altri
oggi è parte di me.
Anche ora, Po
continua a parlare, mi stringe la mano e cerca di scusarsi, ma in fondo io non
lo vedo.
“Non andare via” tiro quest’ultima pietra e spero che lui
abbocchi.
È il mio
ultimo tentativo: devo spezzare la catena dell’autoflagellazione mentale.
“Restiamo come
siamo, noi due e il resto fuori. Non scappare da me solo perché ora non riesco
ad appartenerti. Aiutami.”
D’improvviso
il cielo è scuro.
Un manto nero
suggella le nostre bocche.
Respiriamo con
affanno e lui mi guarda.
E io lo so che
c’è lui di fronte a me.
Finalmente.
Riesci sempre a trovare delle immagini molto evocative, e anche la scena che descrivi sembra di vederla.
ReplyDelete@Guchi, ti ringrazio..è un complimento bellissimo :)
ReplyDeleteLa decima puntata è già pronta, ed è molto diversa...spero che riuscirò a catturarvi :D
Basta, ho deciso! Ti stampo e ti rilego! O rileggo?... Fate voi... XD
ReplyDeleteVeramente bello.
ReplyDelete@Loran, grazie :)
ReplyDelete@Bimbo, mancava anche a me..ma non riuscivo a scrivere...
ReplyDelete@Jimi, decidi tu :) però mi raccomando voglio una bella copertina se mi rileghi :)
ReplyDeleteParte di ciò che hai scritto mi appartiene. Forse fa anche male.
ReplyDeleteMa grazie di averlo scritto
@Inco, sai a volte quando scrivo mi devo forzare e spingere a non pormi dei paletti, anche quando fa male.
ReplyDeleteGrazie per aver apprezzato!
A volte la solitudine imposta dagli altri e fatta nostra per paura di essere ciò che siamo anche con gli altri ci porta a pensare che questa sia la nostra unica amica, in realtà è la nostra peggiore nemica perché se non cercata spontaneamente, logara, distrugge, addolora
ReplyDelete@Fra, sì proprio la peggiore in assoluto!
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